Tiene fermo il volante con il ginocchio, cambia con la destra e mangia il Kebab con la sinistra.

Lo guardo preoccupato e mi domando come farà alla prima curva.

– Dove vivi? – Mi chiede.

Sento il rumore del paraurti anteriore che striscia contro una delle ruote: l’ha riattaccato con del nastro adesivo ma non mi sembra una soluzione duratura.

– Busto Arsizio. Periferia nord. – rispondo.

Alza un sopracciglio.

– Allora sei nella squadra Delta. Ottimo. Cosa hai fatto per finire qui? Sei un assassino? –

Il rumore della cannuccia decreta che ho finito la mia cola. Metto il bicchiere vuoto nel porta bicchiere.

– Sono un ladro. –

Si volta verso di me.

Ignora la strada.

Mi guarda.

La strada viene sempre ignorata.

– Guarda avanti! Che cazz_ – Afferro il volante.

– Cosa cazzo è che sei?? – Sbotta e mi fissa, sempre.

La strada non è di suo interesse, ma lo è di mio.

– Sono un ladro! Un ladro ok? Hai presente? Quelle persone che ti entrano in casa e ti fottono la roba. Ora guarda la strada per cortesia!! –

– E che cazzo ci fai qui? Sopratutto che cazzo ci fai nella mia macchina se sei solo un fottuto ladro del cazzo?! –

– Ti piace proprio la parola “cazzo”? Devi infilarla almeno cinque o sei volte in una frase o non ti senti realizzato?? LA STRADA! –

Inchioda.

La cintura funziona in modo eccelso, altrimenti sarei finito a conversare col radiatore.

– Allora: andiamo per gradi. Non puoi essere solo uno stupido ladro per due, anzi, per ben tre buoni motivi. –

Sbuffo.

– Primo: non ti avrebbero spedito in questo mondo; secondo: non saresti nella squadra Delta; terzo: non ti avrebbero assegnato a me!-

M’incazzo.

– Non so nemmeno che cosa sia la squadra Delta, va bene?? – Lui si porta una mano alla fronte e poggia il gomito al finestrino, prevedendo una lunga discussione. – E se vogliamo essere fiscali – continuo – non so nemmeno chi sei tu! So solo che mi hai trascinato in una battaglia in stile “Die Hard” 1 non appena ti ho incontrato, senza nemmeno dirmi come ti chiami. E ancora non so perché li abbiamo fatti fuori quei tizi! –

Prende una scatolina dal taschino della camicia, si butta in bocca qualcosa che c’è dentro e poi si scola qualcosa da una fiaschetta che stava nel portaoggetti.

– Senti un po’ Principessa, io ho già un mal di testa grosso come uno zeppelin, quindi cerchiamo di stare calmi ok? –

– Niente affatto, sono incazzato ed esigo il diritto di esternarlo! Me ne stavo giusto giusto tranquillo a raccogliermi i miei punti quando arriva Mister Cervello di Diamante a gettarmi in pasto ai profughi e ad un pazzo lercio e guerrafondaio –

Allarga le braccia – Mica è un appuntamento, questo, Caramella! – sbraita.

Scende dalla macchina prima che possa rispondergli.

Apro lo sportello, mi ricordo della cintura quando mi strozzo, slego la cintura e lo raggiungo.

Lui sta aprendo il bagagliaio.

Sto per rispondergli quando alza il finto fondo del bagagliaio e lo àncora di modo che stia su da solo.

Sotto ci sono cartelle, un netbook, grafici e un sacco di fogli con appunti e dati che non comprendo al volo. Sposta il computer con poca grazia e prende una cartelletta tutta sgualcita che c’era sotto.

Per come tratta il netbook mi salta una valvola mitralica. -Fermo!! Lo sfondi così- Lo abbraccio: il computer -Ci vuole grazia…-

-Con quei trabiccoli? Non l’ho mai nemmeno acceso. Me lo ha dato Shelv quando gli ho chiesto dei documenti, gli ho chiesto se mi prendeva per il culo e allora ha provveduto a farmeli dare sulla cara e vecchia carta-

Si siede sul rientro del baule ed apre la cartelletta che ha in mano.

Io il computer non lo poso.

Mi siedo accanto e sbircio. Lui mi passa un paio di fogli.

– Non ti hanno spiegato un cazzo a quanto ho capito. Dunque: la Confederazione ha il compito di tenere sotto controllo i profughi. La gente può passare dal nostro mondo a questo legalmente solo se si fa bloccare del tutto i poteri e comunque questa possibilità viene concessa solo in casi eccezionali. Altrimenti se sei di là ci devi restare. Se sei un galeotto, ti usano come Alleato. In questo caso ti bloccano i poteri attraverso questo schifo di braccialetto che però si sblocca quando ti affidano una missione, in modo che tu possa portala a termine. Ogni missione portata a termine è un punto. Tu in base alla pena che devi scontare, hai un certo numero di punti da raccogliere. E fin qui è stato un riassunto, questo lo sapevi, vero Casco di Banane? –

Casco di banane?

Il mio ciuffo è in effetti un po’ appariscente, ma nessuno mi aveva ancora accomunato ad un casco di banane.

Alzo gli occhi al cielo e rimango in silenzio, così prosegue.

– Bon. La Confederazione ha una sua procedura per gestire tutto questo. Loro riescono a captare quando un profugo entra in questo mondo. Si genera non so quale cazzo di interferenza che gli strumenti della Shield percepiscono. Quindi sanno perfettamente quanta gente del nostro mondo è su questo. Il problema è beccarla. Solitamente tendono a buttare immediatamente un Alleato nel punto in cui hanno percepito l’interferenza, ma non sempre i profughi sono così lenti, buona parte delle volte riescono a mimetizzarsi con la gente di questo mondo e se si infiltrano troppo poi è un casino beccarli. A meno che non usino la magia. Questo capita spesso perché la maggior parte di loro si sente un Dio di fronte ad esseri umani che ignorano del tutto le proprietà magiche, quindi fanno gli sboroni e la Intra Dimensional Shield Confederation li localizza e manda un Alleato che rispedisce il profugo a casa, ma capita molto di rado, oppure lo uccide, che è quello che avviene di solito perché si fa prima. –

Fa una pausa, prende il pacchetto di sigarette. – Ci sei? –

– Ci sono, non sono scemo. –

Gli frego una sigaretta. Mi guarda male ma non replica. Sposta qualche foglio in quella cartelletta lercia che ha in mano.

– Bene… Ora: io non sono più un Alleato, nel senso, lo sono stato ma ho finito la mia raccolta punti, quindi ora lavoro per la confederazione solo part-time –

– E quale sarebbe il lavoro fisso? – Chiedo

– Faccio il camionista. –

Non poteva essere commesso al supermarket…

Non coglie la mia espressione e prosegue -In particolar modo voglio prendere questo stronzo che si è fregato lo Iantor. Ora è questa la mia e anche la tua missione- mi passa una scheda personale.
Light Novel - Service's code - chapter 03E’ un foglio con tanto di foto e curriculum di un tizio di nome Sin. Il cognome è stato cancellato con un pennarello nero come altre informazioni all’interno della pagina.

C’è una foto.

Un tizio efebico, pallido, con i capelli corti e un taglio tutto a ciocche sparato. I capelli sono amaranto con le punte nere. Gli occhi sono bianchi con la pupilla verticale come i felini e sulla guancia sinistra ha un tatuaggio sotto l’occhio a forma di chiave di sol.

– Signur… ma cos’è? Un cantante Visual Kei?? – Rido – Mi sa ch’è pure gay, qui non sta scritto? – Sfoglio. Mi arriva un cazzotto sulla nuca.

– AOH! – Protesto.

– Cerca di stare serio, ‘sto qui è un casino da riacciuffare. L’ho già rispedito indietro una volta, e ti assicuro che non è stata una passeggiata! L’obitorio è pieno di persone che pensavano di acchiapparlo. –

Borbotto e continuo a leggere la scheda. A momenti ingoio la sigaretta quando leggo Sevyhal’s Twins.-Sevyhal’s Twins!?! Mieiddèi! Era uno di quei due?!?- Sclero.

– Era uno dei due. – Conferma.

– E l’altro??-

– …mbhè, non è lui… –

– Cazzo! Erano il terrore del mio regno! –

– Di tutto il mondo, non solo del tuo regno… – Borbotta.

– Si, no cioè, però… – m’incarto – Sapevo che lavoravano sopratutto a Sevyhal… cazzo!… Questo ci fa fuori… Ho sentito dire che uno era completamente pazzo, freddo e spietato! E l’altro una specie di caterpillar umano che dove passava lui non sopravviveva niente e nessuno. –

– Lui è il primo. –

– Cazzo! Cazzo! Cazzo!… ed io ho lavorato per lui senza sapere con chi avevo a che fare….- Mi sto cagando in mano solo ora che so per bene la storia

Lui si volta – Cos’è che hai fatto tu? –

Sbuffo -Lo Iantor. L’ho rubato io senza sapere che cosa fosse, il lavoro me lo aveva commissionato lui ma non l’ho mai visto in faccia, era sempre in giro con addosso un cappuccio ed una_ –

-_mantella di loden nero. – finisce lui.

Ci guardiamo. Stallo. – Eh. – dico…

E’ un attimo e mi afferra per la gola sbatacchiandomi avanti ed indietro come un pitbull strafatto di crack.

– SEI STATO TU A RECUPARE LO IANTOR PER LUI? BRUTTO PEZZO DI MERDA! IO TI MASSACRO!! –

Mi lascerà andare solo poco prima di mandarmi in coma per mancanza di ossigeno.

****

Mi ha riaccompagnato a casa per prendere la mia roba, dopodiché ha buttato tutto in macchina in malo modo, me compreso, e ora non so dove diavolo siamo diretti.

– Posso chiedertelo di nuovo? – chiedo sperando in una risposta diversa.

– Spara. –

– Come ti chiami? –

– Tears, Tears Eirdar, il piacere è tutto tuo Principessa. –

E’ come una sassata che infrange una vetrata colorata. Di quelle istoriate delle chiese. Tutto nel mio cervello è andato in frantumi.

Avrei dovuto capirlo che era lui, lo avrei dovuto intuire, era così palese.

Sono stato mandato a dare supporto all’Alleato che insegue colui che detiene ora lo Iantor, ed è lui quello che corre appresso a Sin, ma è come quando avete tutti gli indizi per collegare una verità che non riuscite ad accettare.

Semplicemente il cervello si rifiuta di concepire questa verità.

Quest’uomo sulla trentina, con i jeans strappati, una canotta sudicia e la camicia a quadri da camionista. Questo guerrafondaio senz’arte ne parte, senza rispetto per niente e nessuno e con un vocabolario che non va al di là delle dieci pagine di cui otto di bestemmie. Con le battute riciclate da film come “Bad Boys2” e “Die Hard”, e gli “AC/DC” con “Let Me Put My Love Into You3” nell’autoradio.

Questo è il mio mito. Tears Eirdar.

Forse con una ripulita e un paio di anni in una scuola media superiore sarebbe una persona normale.

O forse no, certa gente è così di carattere e non la cambi più.

Rimango seduto sul sedile del passeggero in silenzio, depresso.

– Mbhè? Principessa? Ti si sono scaricate le batterie? A Te piace essere chiamato con nomignoli gay? E’ per quello che non mi hai ancora detto come ti chiami? –

– Zen. Zendaru Di Samirien. – Rispondo scazzato mentre osservo il panorama che sfreccia fuori dal mio finestrino.

– Riassumiamo: Zendaru Di Samirien e sei un ladro. Età? –

– 17. –

Lo sento bestemmiare e borbottare insieme, qualcosa di indefinibile che assomiglia al ringhio di un pitbull con tanto catarro.

L’unica cosa che comprendo sono le parole Shelv, bastardo, bambino, e, grazie a una strana scheggia di sapienza incontrollata, un pubertà.

– Quando hai finito di infamarmi solo perché ho un anno in meno di quello che potevi pensare, spiegami che cos’è la squadra Delta e come facevi a sapere che ne facevo parte quando non lo sapevo nemmeno io. –

Siamo finiti nelle strade di periferia della zona industriale sud di Busto Arsizio. Sono almeno cinque minuti che sui finestrini si riflettono solo strade deserte, prati pieni di macerie, fabbriche e magazzini abbandonati.

– La squadra Delta. – dice lui – è una delle squadre in cui la Confederazione divide gli alleati. Ci sono quattro squadre, create in base all’abilità degli alleati che le costituiscono. Vengono inviate in zone diverse a seconda delle zone calde di affluenza dei profughi. Al momento, la zona calda che, come saprai, non è fissa, corrisponde alle zone di Busto Arsizio, Castellanza e Gallarate sud. Quindi in quella zona vengono inviati alternativamente gli alleati più abili, che appartengono alla squadra Delta. Ovviamente tu non eri tenuto a sapere della dislocazione delle squadre: agli Alleati vengono date solo le informazioni indispensabili. Giusto il luogo e il numero di profughi da affrontare. Però se avessi almeno controllato una volta il tuo tesserino, avresti visto a che reparto eri assegnato. –

Ma io non lo sto già più ascoltando perché ghigno. Mi sono fermato al fatto che facevo parte della squadra di Alleati più abili.

Mi deprimo subito quando ripenso che l’Alleato per eccellenza è quello che ho da parte…

****

Io credo che Shelv abbia omesso qualcosa nella scheda personale del novellino che mi ha mandato appresso.

Tipo che sia scemo.

Lo vedo riflesso nel finestrino da cui sta guardando fuori ed un momento ghigna, il momento dopo è la depressione emo fatta persona.

Scrollo le spalle e preferisco non approfondire. Possibile che debba sempre lavorare con i pazzi?

Quello che il novellino non sa è che io so. Tutto praticamente.

Certo che ho protestato perché aveva 17 anni. Che cazzo, mica è l’asilo casa mia. Diciassette anni significa che non sa nemmeno guidare.

Ma ho letto anche i resoconti delle sue precedenti missioni e sono state tutte eseguite egregiamente.

Se invece di fare carte false per catturare tutti quei profughi, li avesse ammazzati e basta senza pensarci due volte, avrebbe sicuramente raccolto il doppio dei punti.

Ma alla fine è il risultato che conta. E come dice Shelv, forse ho bisogno di una specie di voce della coscienza che mi rompa le palle ogni tanto, se è vero che voglio mollare questo lavoro di merda.

Che poi continuo a dirlo ma mentre lo faccio mi diverto.

Comunque Shelv non è scemo. Questo tizio ha agilità, cosa che lo ammetto, io non possiedo.

Io passo e devasto.

Questo tizio usa anche la magia. Io cerco sempre di non farlo, a parte quando devo accendermi una sigaretta. Troppo cerebrale, troppo faticoso.

Adesso devo solo collaudarlo un po’, spero solo che Sin non si faccia vedere alla prossima battaglia perché se no sono cazzi acidi.

Conoscendolo poi, credo non prenderà molto bene la presenza del novellino.

Nella sua testa malata la vedrà come un intrusione in un gioco solo nostro.

E intanto, questi fottuti punti che mi hanno dato alla Confederazione mi stanno strappando l’anima a morsi.

Non c’è un modo per ricucire gli esseri umani senza pretendere che poi stiano immobili per giorni?

Svolto la seconda a destra, controllo gli specchietti: nessuno.

Giro di scatto a sinistra e mi infilo nel sottopassaggio della vecchia ferrovia dimessa. Il novellino azzurro mi rotolerebbe addosso se non fosse per la cintura. Mi guarda male.

– Nel caso ci avesse seguito qualcuno ora non lo farà più. – spiego, poi giro a sinistra ed entro nella discesa che porta alla rimessa.

– Ma non c’era nessuno! – Protesta

Dèi, che palle. Se è sempre così’ lo ammazzo prima io.

****

– Eccoci a casa. – Dice mentre scende in un sotterraneo che sembra abbandonato.

Mi guardo intorno.

Siamo entrati nella rimessa sotterranea di una vecchia fabbrica di tessuti, o almeno credo, a giudicare dai rifiuti sparsi un po’ in giro. Si vedono vecchie spolette di dimensioni industriali, sacchi della spazzatura, pallet e scatoloni.

Si ferma. Schiaccia il pulsante su un telecomando che ha appeso alle chiavi della macchina e una parete si apre.

Si, tutta una parete si apre, scorrendo lateralmente.

Dire che rimango con l’occhio pallato è poco.

Appena passiamo oltre con la macchina, la parete si richiude dietro di noi. Io sto ancora fissando la parete in questione quando la macchina si ferma, e lui scende. Scendo anche io e mi trovo davanti il mezzo di trasporto più grande che abbia mai visto, perlomeno su ruote.

Lo guardo ed indico l’enorme tir nero accanto a me – Questo è il tuo lavoro?-

– Già. – Ghigna, tutto contento. Come un padre che presenta sua figlia pluri laureata e strafiga.-Ti presento la gioia dei miei occhi. Ho lavorato dieci anni per permettermelo e ancora non potrei comunque averlo per vie legali. Lui è il mio Magnum DXi 13 500 con trattore 6×2 Pusher-

– Ah… –

– Che ne dici? –

Aspetta che gli dica che è bello, ma non è che i camion siano propriamente la mia passione, e quello che mi ha appena detto per me è arabo.

– Ecco… è grosso…- dico, tenendomi sul vago.

– Già, già! è uno dei più grossi in europa. – replica.

Ne è davvero orgoglioso eh, dovreste vedere come gli si è illuminato il viso.

Scarica la mia sacca ed il mio zaino dalla macchina e me li lancia appresso. – Su, vediamo di sistemarci prima che lo stronzo ritorni all’attacco-

Mi carico la sacca su una spalla e lo zaino sull’altra e lo raggiungo.

– Cosa significa? Che adesso viviamo tutti e due qui? –

– No, ti ho fatto prendere la tua roba per andare in campeggio nel week end. –

– Ma scusa perché non possiamo lavorare ognuno a casa propria? –

– Ma sei nato scemo o aspettavi me per impegnarti? – Questo intercalare da uomo figo mi sta irritando. Prosegue – No, davvero, spiegamelo perché in caso ti assicuro che il risultato è ottimo! Se un profugo attraversa la barriera passano circa 2 secondi prima che la Confederazione lo venga a sapere, più altri 30 perché chiami l’Alleato più vicino, dopodiché in media si perdono altri 10/14 minuti. Se io devo aggiungerci anche il tempo di venirti a prendere a casa come la fidanzatina, allora facevo prima a fare da solo! Non credi? –

Alla sola idea di conviverci mi è tornato il voltastomaco.

Stiamo salendo con un montacarichi tutto scassato ed io mi sento sempre più depresso. Un tizio del genere vivrà in una topaia lercia.

Non che io sia la casalinga perfetta che tiene tutto lindo e pinto, ma sinceramente non so cosa aspettarmi da lui. Prevedo cartoni della pizza vecchi di settimane, lattine di birra per terra, un cesso intasato da tempo e…

Arriviamo al piano e rimango di sasso..

****

Finalmente a casa.

Fosse per me non ne uscirei mai, se non per farmi un giro in macchina o consegnare qualcosa col Magnum.

Alzo il battente del montacarichi e poggio Beretta e chiavi sul tavolino dell’ingresso. Poi mi butto a peso morto sul divano, reprimo una smorfia per la fitta che mi arriva dal fianco rattoppato, e mi sgranchisco la schiena.

Poi mi accorgo che il novellino è ancora nel montacarichi. Mi affaccio dal divano e lo guardo -Aspetti di varcare la soglia in braccio al principe azzurro?-

Non mi ha neanche sentito. Sembra pietrificato. Fa qualche passo dentro casa e si guarda intorno. Ha la bocca spalancata.

Lo ignoro.

– Senti, tu dormi sul divano finché non trovo un posto dove metterti, anzi, nello studio c’è una poltrona letto, forse è meglio se ti metti lì. Ah, usa pure il computer che c’è nello studio, tanto io non lo so usare, tu invece sembra che te ne intenda. –

Accendo la tv, mentre lui è ancora li in mezzo al soggiorno che si guarda intorno.

****

Credo siano passati cinque minuti da quando siamo entrati in casa e non devo aver spiccicato nemmeno una sillaba nonostante Tears mi stesse parlando. Un record per me.

La casa è a dir poco enorme.

E’ ricavata da un vecchio reparto di tessitura, quindi si tratta di un enorme loft. Tutto un lato della casa è occupato dalle finestre che danno sulla strada. Sono cinque o sei finestre ad arco, con una luce di due metri abbondanti l’una. Sono di quelle da ditta, ossia con il serramento in ferro e tanti quadratini di vetro fissi. Per far circolare l’aria è stata quindi messa un’enorme ventola nell’arco di ogni finestra. Da fuori non si vede niente, i vetri sono tutti malconci e ingialliti dal tempo, ma dentro è tutto ben curato e pulito.

Il pavimento è tutto in parquet, tranne la zona della cucina che è in pietra ardesia. La cucina è di tipo a vista, modello americano con muretto basso e penisola a dividerla dalla zona soggiorno.

Tears si è spiaggiato su un divano in pelle, davanti c’è un tavolino fatto da due copertoni di un tir con sopra un vetro tondo. Il mobile del soggiorno è di tipo moderno, nero, lucido. Con sopra un televisore al plasma da 42″. Sotto ci sono playstation, impianto satellitare e lo stereo degli Dèi.

La cucina è bianca e nera, perfettamente in ordine. Forno a colonna, microonde, frigorifero a doppia anta, elettrodomestici di vario genere in giro tutti nuovi e ben curati…

Finalmente parlo.

– Come cazzo fai a permetterti tutto questo?? La Confederazione paga uno schifo! –

– Mbhè, bimbo, io ho sempre avuto un doppio lavoro, inoltre la Confederazione paga uno schifo gli Alleati, ma non i mercenari. – ghigna – Sai quanto mi danno per ogni Profugo che sistemo? –

– No, a me danno cento euro… –

– Aggiungici uno zero e hai la mia parcella, solo se è un lavoro facile, ovviamente. –

Sbarello. – Quindi tu questa sera ci hai guadagnato seimila euro!?! –

– Esattamente. –

Divento gay e me lo sposo.

Si alza, va al frigo e prende una birra, intanto mi parla – Allora, chiariamo prima un paio di regole. – apre la birra coi denti, e i premolari mi fanno male solo al pensiero – A me il disordine non da troppo fastidio, ma mi sta in culo lo sporco, quindi quello che sporchi pulisci, ok? –

Annuisco. Mi sembra giusto.

– Poi, quando mi sveglio voglio silenzio tombale. Sennò mi entra il mal di testa e sto incazzato tutto il giorno. –

– Oggi ti hanno rotto le balle appena sveglio? –

Beve. – No, oggi sono tranquillo. –

Ottimo.

– Come ho detto puoi appropriarti dello studio. – Si dirige verso una specie di anticamera, lo seguo. Mi indica la prima porta a destra e apre.

E’ una stanza in cui ci starebbe tranquillamente metà del mio monolocale. Parquet, un’enorme finestra ad arco come quella del soggiorno, ma questa ha un lato in cui si apre a libro, quindi niente ventola. C’è una grandiosa scrivania con sopra un computer che vale più di ogni bene che posseggo in questo mondo.

– Questo è lo studio – dice – Quella è una poltrona letto, tu dormi li, qui c’è il computer, è attaccato alla linea della Confederazione, che io sappia si può parlare direttamente con Shelv, ma non sono capace di usarlo quindi facci quello che vuoi. –

Mi domando come faccia a sapere cosa fa quel computer se non lo sa usare e sopratutto perché lo possieda se non lo usa, ma lo seguo in silenzio mentre mi mostra il resto dell’appartamento.

Esce ed io lo seguo

– Qui a metà corridoio c’è il cesso. E’ uno, quindi non ci stare le ore a truccarti ok? –

Non commento.

Mancano ancora due porte. Indica quella all’altro capo del corridoio, speculare allo studio. – E questa è la mia stanza, in cui tu non entri se non te ne do prima il permesso. Tutto chiaro? La casa è tutta qui. –

– E questa stanza tra la tua e il bagno? – Ho già la mano sulla maniglia, ma è chiusa a chiave.

– E’ lo sgabuzzino. – E torna in salotto. Lo seguo.

Si blocca e mi guarda critico. – Ora ho qualche domanda. –

Annuisco

– Rispondi conciso eh. – Ed enumera sulle mani – Ti piace la pizza? –

– Si –

– Cinese? –

– Certo. –

– Kebab? Prima non l’hai mangiato. –

– Lo mangio, no problem, avevo solo lo stomaco rivoltato da_ –

Alza la mano – Conciso. – ripete. Continua – Sei etero? –

– Certo… – Che razza di domande fa?

– Non si sa mai… meglio premunirsi, devo saperlo se posso girare in mutande senza rischiare… – mi parte un tic al sopracciglio, e lui prosegue. – Tipo di musica che ascolti? –

Ci penso – Un po’ di tutto…-

– Un po’ di tutto non è una risposta. Lo dice anche chi ascolta tutto quello che gli passano in discoteca. –

– Ok, prevalentemente dance e pop ma anche rock di tutti i generi, dai Led Zeppelin all’alternative e ah! Adoro l’elettropop. Qualcosina di metal, tipo gli Iron… – vedo il volto che gli si illumina -…o i Blind Guardian… – m’interrompe.

– Ottimo! – è contento, e mi pare anche meravigliato dal fatto che conosca tutti questi gruppi. Il punto è che si, sarò qui da pochi mesi, ma io avevo internet anche a casa, giù nella seconda dimensione a Samirien…

– Ultima cosa. – aggiunge – Ammesso e concesso che tu riesca a fartela dare da una tizia, non voglio doverci parlare anche io il mattino dopo, quindi la ignorerò, e deve levarsi dalle palle entro mezzogiorno, ok? –

– Ok… – “Ammesso e concesso” ?

Sospiro, lui si butta sul divano e accende la tv. Mi guardo un po’ intorno e mi dirigo nello studio, quella che sarà la mia stanza.

E così sono finito a vivere da Tears Eirdar.

Chiudo la porta dietro di me e penso che devo farmi un nuovo mito.