Entro e mi guardo intorno.

E’ una stanza d’ospedale. Forse privato, visto che è più moderno e curato. C’è un letto ma è vuoto.

Dopo due secondi di silenzio, il Generale Shelv tuona. -Tenente!-

Il Tenente, che stava fuori di guardia insieme ad un altro agente semplice, entra con il suo collega ed entrambi rimangono evidentemente spiazzati. I loro occhi vagano dal letto al resto della stanza, cercando disperatamente qualcosa, o qualcuno.

– Generale, le assicuro che era qui fino a dieci minuti fa! Sono entrato per controllare e_-

– SILENZIO! – Siamo in tre nella stanza e tutti e tre zittiamo persino le nostre menti

L’altro agente, evidentemente di grado inferiore, guarda il suo capo con lo sguardo terrorizzato.

Shelv si volta e lo fissa diritto negli occhi, intuendo.-Qual’è il problema, oltre al fatto che vi è sfuggito!?-

Il giovane agente, terrorizzato, balbetta.-La scheda… degli spostamenti… .l’ha presa-

La tenda di lino bianca alla finestra svolazza alla tiepida brezza della notte inoltrata.

Sono quasi le 4 e io non dormo da almeno 20 ore.

****

Camminiamo tutti e tre dietro al Generale Shelv, o meglio, arranchiamo perché quasi corre.

– L’ultimo punto segnato su quelle carte è la zona industriale di Gallarate sud. L’area di passaggio come ben saprà non è fissa, si sposta in modo irregolare permettendo ai profughi nuovi luoghi per passare indisturbati la frontiera. Abbiamo ragione di supporre che Sin, che ha con sé lo Iantor, si serva dei profughi per attaccare il nostro Alleato, probabilmente allo scopo di toglierlo di mezzo senza macchiarsi le mani in prima persona. – Si blocca e io per poco non gli vado a sbattere

– Lei andrà li, ora. –

Panico. – Ma come facciamo ad essere sicuri che sia andato proprio li? –

Non mi ascolta e riprende a camminare.

Ritento. – E poi come lo riconosco? Non so nemmeno che faccia abbia e_ –

– Era già stato informato in precedenza che gli sarebbe stato inviato un aiuto. Sarà lui a riconoscere lei. –

Entra in una stanza e mi molla nel corridoio.

Mi volto verso i due agenti. -Qualcuno mi deve portare li, dubito passi l’autobus ed io non ho la patente…-

****

Quei due cacasotto mi hanno praticamente lanciato giù dalla macchina con un calcione e poi sono ripartiti tanto veloce da lasciare i segni degli pneumatici sul catrame del parcheggio.

Poco male. Avere tra le scatole due passacarte non è quello che mi serve adesso.

Sbuffo e controllo quanti colpi ho nel caricatore della Glock.

5. Meglio rimpinguare.

Mi siedo sul marciapiede e cavo fuori dalla tasca la scatola dei proiettili.

Parte una parolaccia. Ne ho solo altri 5, che con quelli già nel caricatore fanno 10.

– Complimenti Zendaru. Sei appena uscito dal quartier Generale della Confederazione, dove hanno pure i carro armati e tu non ti sei nemmeno ricordato di chiedere se avevano una scatola di parabellum per la tua Glock 17. –

Parlare da soli. Primo segno di pazzia.

Butto la scatola dei proiettili vuota e inserisco di nuovo il caricatore.

C’è qualcosa. Mi volto. Fisso in giro per qualche istante. Poi mi stringo nelle spalle e metto la pistola nella tasca della felpa.

Vedere le cose. Secondo segno di pazzia.

Mi alzo e decido di fare un giro. A mani in tasca mi avvio per le strade ampie e deserte della zona industriale.

E’ tutto ovviamente deserto a quest’ora.

Il catrame luccica a tratti per la pioggia di qualche ora fa. Alcuni lampioni sono spenti da tempo. Falene e qualche pipistrello svolazzano attorno a quelli accesi, ed i neon delle insegne e degli ingressi sfrigolano vecchi e scarichi.

Le mie scarpe da ginnastica sono silenziosissime, eppure i miei passi hanno un rumore inquietante: il suono rimbalza sulle saracinesche chiuse, rimbombando.

Cestini dell’immondizia che trabordano, qualche lattina per terra. Ne calcio una.

Una figura appallottolata su un muretto. Un barbone svaccato con ancora la bottiglia di Jack Daniel’s in mano. Lo supero e lo sento russare.

Proseguo per una decina di metri fino a quando non mi trovo in mezzo ad un incrocio. Mi guardo in giro ma non c’è nessuno.

Un rumore. Uno sparo. Scatto, faccio tre passi, mi butto a terra, rotolo e miro al tetto. Sparo due colpi, ma la figura a cui ho sparato è scomparsa.

– Merda! –

Rimango dietro al lampione e mi guardo attorno. La coda che ho fatto ai capelli prima di uscire stasera si sta sciogliendo e qualche ciocca azzurra è sfuggita al laccio. Impreco e velocemente cerco di metterle dietro alle orecchie.

Sono scoperto.

Due spari, rotolo a fianco e poi corro. Mi getto tra un cassonetto e un muro e mi faccio anche discretamente male… Due colpi rimbalzano talmente vicini alla mia testa che avrò un fischio all’orecchio per qualche minuto.

– Merda merda! –

Realizzo solo adesso – Il barbone di prima! –

Mi affaccio appena per vedere se è ancora vivo.

Strabuzzo gli occhi. Dorme ancora.

Forse è morto…

Rimango in ascolto. Silenzio. Poi lo sento russare fino da qui.

Non è morto.

Sospiro e riporto l’attenzione sul mio nemico.

Controllo i tetti che sono visibili da dove mi trovo attualmente. Non vedo nessuno.

– Chi potrebbe essere? Un profugo? O forse è L’Eirdar che crede che io sia un profugo perché nessuno gli ha detto realmente che stavo venendo qui? Se mi trovo davanti L’Eirdar sono morto! –

Quando sono nervoso, penso ad alta voce. Una brutta abitudine che devo togliermi se voglio sopravvivere qui.

****

– Shelv, che testa di cazzo mi hai mandato? – Borbotto e mi sistemo meglio l’auricolare nell’orecchio.

Nella bottiglia di Jack vuota, il trasmettitore dell’amplificatore lampeggia con un led discreto, praticamente invisibile. – Questo parla pure da solo… andiamo bene… – Sbuffo.

Oltre a quello che ha sparato al ragazzino, ne ho calcolati almeno altri 5.

Tutte mezzeseghe.

Spari.

Una è sicuramente la Glock del ragazzo. Ottima arma. Se se l’è scelta lui allora non è poi così scemo…

Ok. E’ ora di fare casino.

****

Il fuoco è cessato e non vedo nessuno da almeno due minuti.

Mi guardo intorno e sono solo.

E adesso che faccio? Questa non è la mia missione, non ci guadagno niente a combattere contro ‘sti tizi! Inoltre sono almeno in tre mentre io sono da solo. Dell’Eirdar non c’è traccia. Senza contare che parto sempre in svantaggio non avendo voglia di uccidere nessuno.

Sono proprio un Alleato pacco…

Occhio pallato e un principio di infarto. Forse mi viene anche qualche capello bianco, quando l’hangar dietro di me praticamente esplode.

Vengo sbalzato in avanti ed ovviamente urlo. Io non riesco a non urlare. Il personaggio fico che niente lo sconvolge, mbhè, semplicemente non è il mio personaggio.

Io mi caco in mano, va bene?

E piango anche se mi faccio male, ok?

Comunque…

Rimango basito lì, per terra, Glock in mano e un persistente tic al sopracciglio.

Due profughi, di cui uno è quello che mi ha sparato appresso prima, escono urlando dall’hangar.

Vanno a fuoco. O meglio: uno va a fuoco, all’altro basterà gettare per terra il giubbotto e se la caverà.

– Ma che cazz_ –

Dalla saracinesca divelta vedo solo fuoco e fiamme, fumo e poi una figura.

Mi alzo e tengo salda la mia pistola.

E’ il barbone di prima quello che vedo buttare a terra un lanciagranate ed imbracciare un fucile a pompa. In piedi quel tizio è enorme, sarà due metri. E se la ghigna di brutto…
Light Novel - Service's code - Chapter 02– Allora, facciamo festa bambini? – Dice masticando il filtro della sigaretta che ha in bocca.

Non ho tempo di catalogare chi sia e cosa sia li a fare, ma è chiaro che ce l’ha con i profughi e questo è di vitale importanza per il mio cervello. D’un tratto qualcosa mi dice di voltarmi verso il profugo e faccio bene.

Sparo.

La pistola gli salta via dalla mano e schizza per terra scivolando lontano.

La fissa, ed è un attimo: il profugo alza la mano ferita e cerca concentrazione.

Un muro di fuoco si dirige verso di noi.

Capisco, inspiro di scatto e non perdo tempo nemmeno a bestemmiare.

Non mi sono ancora del tutto abituato a stare in questa dimensione, per cui spesso mi affido alla magia. Il punto è che i bracciali che portiamo la bloccano, e se tenti di usarla senza che alla Confederazione te l’abbiano sbloccato per una missione, ti mandano una scarica allucinante addosso.

Ma al momento non ci penso. Sono pochi istanti e non ci si accorge neanche che accade, ma io lo so.

Più del’ 80% dell’acqua nei pressi di una ventina di chilometri, negli oggetti, nell’aria ma non negli esseri viventi, viene convogliata in un unica striscia davanti alla mia persona esplodendo verso l’alto con la potenza di un geyser. Un muro d’acqua si erge di fronte a me e al “barbone” al mio fianco, in protezione dalla fiammata magica che il profugo ci spedisce contro un istante prima.

Gli incantesimi si disperdono, cozzando e annullandosi l’uno con l’altro, ed io finisco in ginocchio per la scarica elettrica del bracciale, tenendomi il polso e maledicendomi da solo per la grandiosa idea…

– Il fuoco non è il mio elemento preferito – Borbotto sottovoce mentre, con un enorme sbuffo di vapore, le due energie magiche si annullano

Nemmeno un istante e il profugo prende fuoco di getto. Così.

Comincia ad urlare, si porta le mani alla faccia, concitatamente, e si butta a terra. Rotola su se stesso nel vano tentativo di spegnersi ma è un fuoco magico, non può! Si lascia andare sdraiato nei gemiti. E il fuoco lo consuma.

Mi volto atterrito alla mia destra. Quello che pensavo fosse un barbone, ghigna in modo malsano

– Ma è il mio. – risponde.

Poi si getta a destra, evitando una scarica di proiettili.

E’ l’istinto di sopravvivenza che me li fa evitare con la stessa mossa, a sinistra. Rotolo dietro ad un cassonetto e mi accuccio: sono ancora sconvolto dalla facilità con la quale quel tizio abbia dato fuoco al profugo, senza nemmeno tentare di fermarlo in un modo più civile.

Adesso lo so, non è solo un barbone guerrafondaio qualsiasi, è un Alleato.

Un Alleato guerrafondaio.

Striscio fuori dal mio nascondiglio. Sono passati almeno cinque minuti e io ho sentito solo un paio di spari in lontananza.

Quanti ne sono rimasti dopo i due morti bruciati vivi?

Distolgo lo sguardo dai due cadaveri e mi guardo intorno. Mi blocco.

E’ il rumore di un motore quello che mi si sta avvicinando?

Mi volto e vedo una Seat Leon che scheggia fuori da un angolo, facendo una curva sul filo del testacoda. Tiene la traiettoria e si getta verso di me. Sopra il tettuccio c’è uno dei profughi, e al volante il barbone di prima sta cercando di centrarlo sparando attraverso il tettuccio della macchina. Sterza per sbilanciarlo, colgo l’attimo e sparo un colpo solo, proprio mentre l’auto mi sfreccia a fianco.

Il profugo cade pochi metri più avanti, la Leon si volta di 360° e torna sulla sua traiettoria. Il profugo a terra è ferito ad una spalla.

No, non l’ho mancato, volevo proprio questo, ma evidentemente il barbone non è del mio stesso parere perché gli si getta addosso con l’auto a tutta velocità. Il profugo striscia di lato rotolando e si porta in salvo.

La portiera del passeggero mi si apre praticamente in faccia e una voce dall’interno mi urla – SALI, CAZZO! –

Mi butto nell’abitacolo che la macchina è già ripartita.

Arranco sul sedile cercando di portare dentro anche il resto del corpo. Ce la faccio giusto poco prima che la portiera prenda in pieno un muretto di cinta e si chiuda di schianto.

Lui mi bercia contro come un cane idrofobo.- Hey! pezzo di merda! questa è la mia macchina! Vedi di trattarla con riguardo o ti spettino il culo a calci!!-

– Si può sapere chi cazzo sei tu, chi cazzo sono loro e da dove cazzo ve ne uscite?? – sbrocco.

– Mi piacerebbe discutere amabilmente ma sono un po’ impegnato per farti leggere la mia biografia! Ora và dietro e passami qualche ferro! –

Ma chi credi che sia, la tua segretaria!? –

Mi afferra il bavero e mi lancia letteralmente dietro. Si lo fa, e ci riesce. In uno spazio così angusto e con solo l’uso della mano destra mi lancia letteralmente sul sedile posteriore, dove io mi accartoccio sulle urla delle mie vertebre.

– Le presentazioni a dopo, segretaria, ora passami l’M32! –

Mi guardo intorno e non vedo niente – E dove cazzo è?? – Sto diventando isterico, lo so.

– Cazzo, ma le palle quando ti scendono?? Sta qui! –

Mette una mano dietro e sposta un pannello, solo ora mi rendo conto che è finto. Dietro i sedili anteriori si stacca un pannello e sotto c’è il catalogo completo della Confederazione.

– Puttana… – Individuo il lanciagranate che mi ha chiesto, controllo sia carico e glielo passo -Si può sapere chi cavolo sono quei tre tizi!?!? –

Afferra il lanciagranate, sposta indietro il sedile del guidatore, tiene il piede destro sull’acceleratore e mette il sinistro sul volante.

Io prego.

Lui mira seduto per metà fuori dal finestrino – Ora ripeto la battuta per quelli in piccionaia, ok? NON LO SO!! –

Spara e mi devasta i timpani.

Tre colpi. Due tizi vengono centrati in pieno, il terzo colpo si abbatte sul silos della vecchia tessitura e permette al terzo tipo la fuga. – L’hai mancato! – sbotto indicandolo.

Le macerie del silos crollano sopra al tizio che muore sul colpo.

– L’ho preso. – Dice lui, ghignando con la sigaretta fra i denti.

La Leon si dirige verso il muro di una fabbrica abbandonata, io urlo e mi metto in posizione d’urto.

Lui riesce con un colpo del piede sul volante a deviare la traiettoria, rientra nell’abitacolo mentre la Leon perde il controllo, ci ribaltiamo una, due volte. I vetri si rompono ed io sto ancora urlando mentre rimbalzo per tutto l’abitacolo posteriore.

Poi la Leon si ferma. Sulle ruote.

Ondeggia, scricchiola. Il motore si spegne e lui esce aprendo la portiera con una pedata. Sento una bestemmia ma è talmente contorta che non riesco a catalogarla. Sopratutto perché sono ancora impegnato a capire se faccio ancora parte di questo mondo.

Lo sportello posteriore, che è dietro di me perché sono rotolato sdraiato cozzando di testa sullo sportello opposto, si apre.

– Mbhè… Ti sei fatta male, Principessa? –

Si accende una sigaretta

– Solo… .alle ossa e agli organi… – biascico.

Mi guardo intorno mentre lui fa il giro della macchina. Tiene la sigaretta fra i denti e biascica parolacce mentre constata i danni. Io arranco fuori e mi guardo intorno, felice di poterlo ancora fare.

Lo raggiungo.

Tira fuori da dietro la cintura dei pantaloni una Beretta 92FS, fa scendere il caricatore, controlla quanti colpi gli sono rimasti e la ricarica. -Bon, andiamo a controllare quanta bua gli ho fatto.- Si dirige verso la fabbrica.

– Come sarebbe a dire?? – Lo seguo mentre controllo anche io la mia Glock. Guardo lui, guardo la pistola, arranco. Devo avere preso una bella botta al ginocchio destro, ma non è rotto. Lo seguo.-Come vuoi che stiano? li hai ammazzati tutti e tre! –

– Meglio assicurarsene no? –

– Ma sono cadaveri! – L’ho raggiunto

– E che hai contro i cadaveri? Prima o poi lo saremo tutti. Io… te… –

La sua tranquillità è disarmante

****

E’ lì chino sull’ultimo cadavere.

Gli altri due li ha già controllati e ora sta riservando lo stesso trattamento anche per questo. Io me ne sto in disparte, cerco di guardare altrove.

E’ la mia immaginazione o già si sente la puzza?

Dopo quanto arrivano i vermi?

Quand’è che possiamo andarcene?

Si può sapere che diavolo sta cercando?

– Lo sapevo… – Lo sento borbottare.

Mi volto verso di lui e cerco di guardare solo lui e non quello a cui è saltata la faccia.-C… cosa?- Chiedo.

Lui prende in mano un bigliettino, l’ha cavato fuori dalla tasca interna della giacca di quel tizio. Si alza e torna alle scale che portano al tetto della fabbrica.

Non mi ha risposto.

Lo seguo.- Hey! –

– Chiama la Confederazione. –

Rimango un po’ interdetto, ma lo seguo. Intanto giro l’orologio e chiamo la squadra di pulizia. L’ho raggiunto. – Cos’è che hai trovato? –

– Un bigliettino. –

Grazie. -Ma guarda, pensavo fosse uno spartito musicale- chiedo esasperato

– E’ la prova che non erano semplici profughi ma lavoravano per quello stronzo. –

E come cazz…-E cosa c’è scritto?? Da cosa lo hai intuito???-

Si ferma e si volta. – Chiariamo: Cosa c’è scritto sono cazzi miei, e finché trovo sui profughi biglietti così, li manda lui. Questo è quanto. – Riprende a camminare e torna alla macchina

– Ma non dobbiamo aspettare la squadra?!? – Intanto salgo. Mica che mi molli qui, posso mica tornare a casa a piedi per quindici chilometri.

Lui avvia la Leon, che nonostante la botta di prima parte regolare con un bel rombo. Dal rumore credo sia truccata. – Per farti fare il ghirigoro? Esticazzi… Se ti hanno assegnato a me non ne hai bisogno. –

– Si ma loro ci trovano in base al gps all’interno dell’orologio, se ci spostiamo_ –

Parte ad una velocità indecente. Mi metto la cintura.

– Quando lanci il segnale, il Gps ha già fatto il suo lavoro, non c’è bisogno che aspettiamo. Io ho fame. –

Dopo aver ravanato in tre cadaveri scomposti sanguinolenti senza più caratteri facciali e con qualche arto in meno?

– Ti va un Kebab? – chiede

L’urto di vomito lo reprimo. – No grazie… –

Sfila coi denti una sigaretta dal pacchetto – Ne mangerò due io. –

Sospiro. – Hey? Ti cresce una sigaretta? –

Apre il pacchetto e guarda, lo richiude e lo mette via

– No, sono rimaste uguali. –

Si accende la sigaretta e in lontananza albeggia.